comodamente felici, in perfetta illusione
Talvolta penso che si rifugia nella scrittura chi non ha abbastanza carisma per parlare in un gruppo umano, pur piccolo, senza essere interrotto fuori proposito, come se la sua voce non fosse udita. Chi scrive fa una sorta di tacitazione dell’interlocutore, la cui preponderante presenza egli non avrebbe modo di frenare. Forse c’è realmente questo tipo di scrittori e immagino di farne parte. Un tipo di scrittore il di cui libro si chiude dopo averne letto qualche rigo. Distante, astruso, alieno alla logica comune, noioso e infastidente. Se io, scrittore palloso, parlassi da un palcoscenico, vedrei gli spettatori lasciare la sala a uno a uno, a coppie e a gruppi. Mi accorgerei d’improvviso dei palchi svuotati. Tre o quattro spettatori rimarrebbero disseminati sulle sedie, come sassi troppo inerti per essere svelti e trascinati via dal defluire delle acque. Non sarebbero un pubblico, però, perché questo ha bisogno dell’afflato della vicinanza di tanti simili per vibrare all’unisono con la scena; sarebbero individualità emotivamente statiche, resistenti all’onda povera della ribalta. Per questo loro gusto dell’ostilità muta e ostinata, rimangono seduti. Su un tale palcoscenico occorre il coraggio dei fanatici, per restare.
Il volenteroso mio amico prova a seguire le improbabili vicende descritte nei miei libri, ma senza riuscirci; egli ha l’aspetto pacioso e prospero di un patrizio dell’antica Roma, e ama i romanzi storici che quel periodo ritraggono. In ciò, sono io a non capire lui: la mia volubilità non mi permette di reggere l’idea di una tale unica passione. Beata la donna sua, che se lo ritroverà sempre fedele. Egli è affidabile quanto io sono infido. Ma anche lui ha qualche incongruenza, una contraddizione interna che mi lascia perplesso, anzi spaventato come se celasse un gladio sotto la toga. Come spiegare infatti che egli sia cultore con uguale ardore della futuristica scienza dell’intelligenza artificiale? L’impero e il transumano vanno, per vie profonde che non sospettavo, in connessione empatica? Quelli che fuggono dal mio teatro formerebbero la platea dei transumanisti, in trasmigrazione per il futuro? Un futuro imperiale. I miei non-lettori sono i persecutori a venire della minore gente mia?
Se individui come me non-trans ne rimarranno, alla fine, e se non saranno così pochi e sparsi da non potersi incontrare al punto di doversi estinguere in solitudine, e avranno invece la possibilità di formare piccole comunità, allora dovranno trovare il modo di sottrarsi all’anagrafe, evitando di farsi individuare, contare, connettere, mettere in sicurezza digitale, nella vita e nella morte. Cosa difficile, più di quanto io riesca ad immaginare, dovendo essi giocoforza condividere il pianeta con le turbe orchestrate felicemente dal Continuum Cloud planetario. Essi sarebbero subito identificabili, essendo incapaci di accendere la luce elettrica con il semplice rivolgere lo sguardo alla lampada, che subito sorriderebbe loro di benevola luminosità, filtrata da frequenze dannose alla retina. La totale scomparsa degli interruttori li condannerebbero al lume delle candele e agli amplessi romantici di altri tempi e fuori moda. Benché confusi fra la gente che accede ai treni o semplicemente salendo un marciapiede, essi sarebbero individuati dai sensori e mandati, in un flash, nel mondo quantico. In sostanza, il pianeta apparterrebbe interamente ai felici integrati, dall’intelligenza amplificata al punto da sconfinare in quella degli altri, dalla memoria indelebile ma cancellabile a piacere, in modo da rendere inesistenti i momenti brutti o malvagi, siano i propri o quelli degli altri, come dei Governanti e Pope, Natura e Dei. Ecco che la morte stessa è sconfitta, essendo un concetto, un file reso autodistruggente con un semplice Strip HTML. Ma quel che più conta è che la memoria sarà identica all’esistere, non avrà perso alcun dettaglio cioè, tanto che ognuno potrà a piacimento passeggiare nel passato, comodamente e felice, in perfetta illusione.
Dove sta la vita? Dove la morte?