“…sono come marionette,
e il loro filo è la passione.”
(Rosso di San Secondo – Marionette, che passione!)
Una volta c’era, in un teatrino di marionette, un magnifico pupo.
Era un pupo di legno, rivestito da un’armatura di latta scura con scudo e spada, col capo coperto da un elmo con un lungo cimiero. Era un paladino forte e fiero.
Egli faceva parte d’uno dei non tanti rimanenti teatrini di marionette siciliane. Lui e gli altri pupi della compagnia venivano fatti esibire spesso in spettacoli per piccoli e grandi nelle piazze, nelle scuole, nei teatri. Il proprietario del teatrino era un puparo che praticava la propria professione con molta passione. Da parecchie generazioni la sua famiglia si tramandava di padre in figlio l’arte di fare marionette, di manovrarle per mezzo dei fili, di farle parlare tramite la voce umana. Il puparo amava ciascuna sua marionetta, e ne aveva cura come di una creatura.
Ma questo pupo purtroppo era molto infelice. Forse era un pupo particolare. Forse aveva qualcosa di anormale. Perché ciò che causava la sua sofferenza, ciò che angustiava la sua esistenza, era qualcosa che ha da sempre fatto parte della natura d’una marionetta: i fili. Quei fili sottili che gli facevano muovere le braccia, le gambe, la testa; quei fili tiranni che dirigevano i suoi gesti e le sue azioni; quei fili insopportabili che impedivano la sua indipendenza. E poi pure quella voce non sua, che parlava per lui, e che esprimeva pensieri non suoi. Era troppo.
Guardava i suoi simili con invidia, perché vedeva che invece per loro non costituiva un tormento tutto questo. I fili erano per loro legami normali ai quali non si fa caso, come per i cavalli le briglie, come per i cani i guinzagli. Egli perciò pensava d’avere qualcosa che non andava, e si domandava se era un povero pupo pazzo, si chiedeva se era una misera marionetta matta. Ma era come gli altri all’apparenza, perché se la teneva dentro questa sofferenza, e così nessuno ne veniva a conoscenza.
Aveva a volte voglia di togliersi d’addosso gli odiosi fili, e quindi fuggire. Non sarebbe stato tanto difficile defilarsi senza farsi scoprire. Però c’era una cosa sola che glielo impediva. Lui aveva anche un altro filo, che lo tratteneva al teatrino. Era un filo invisibile e impalpabile, che legava il suo cuore a un’altra marionetta. Amava la bella ancella, una marionetta mulatta. Si era innamorato del suo bel volto color cioccolato, coi capelli crespi e neri, cogli occhi di giaietto. Lei di questo suo sentimento ardente non ne sapeva niente. Lui nella tenzone di guerra era temerario, ma nella tenzone d’amore era timido. Il suo corpo era di legno duro, ma il suo cuore era tenero.
Una sera, dopo uno spettacolo molto applaudito, i pupi erano stati riposti dal puparo nel magazzino. La giornata era stata intensa ed essendo affaticati si erano in breve addormentati, immergendosi ognuno nei propri sogni. Dai vetri della finestra la luce lunare illuminava in minima parte l’ambiente semibuio e ingombro di pupi appesi alle pareti, di attrezzi, costumi, scenografie varie.
Lui non dormiva, ma osservava assorto la luna, lontana e leggera. D’un tratto nel silenzio sentì qualcosa, e gli parve di vedere delle ombre muoversi. Quindi udì un bisbiglio giungere da un angolo del magazzino. Si sganciò dalla parete e si lasciò cadere senza far rumore sopra un sipario ripiegato. Si avvicinò e intravvide due marionette intente a confabulare. Una era il mercante d’oriente, l’altra l’ancella mulatta. Il suo cuore subito sussultò.
“Hai fatto bene a parlare e aprirmi il tuo animo.” mormorò il mercante.
“Il mio cuore è pieno d’amore. Non potevo più tenermelo dentro.” sospirò l’ancella.
“Farò tutto quello che posso affinché tu sia felice.” le promise il mercante.
“Oh, io ero sicura che non mi avresti delusa.” gli sussurrò l’ancella.
Lui sentì dentro il petto come se si spezzasse qualcosa. Una rottura molto dolorosa. Si avvicinò alla finestra. Cercò di strapparsi i fili di dosso, ma non ci riuscì. Per liberarsene dovette togliersi la spada, lo scudo, l’elmo, e spogliarsi di tutta l’armatura. Si sentì un pupo nudo. Ma meglio nudo e libero, che vestito e legato. Accatastò alcune casse, ci salì sopra, aprì la finestra e saltò fuori.
In cerca di cibo nei cassonetti un cane fiutava i rifiuti. D’improvviso s’immobilizzò, drizzò le orecchie e scrutò l’oscurità. Avanzò sul marciapiede la marionetta, osservata con ostilità. Si fermò nel chiarore d’un lampione e fissò il cane con curiosità. Un ringhio intimò allo strano intruso di tenersi alla larga da là.
“Guarda che io non intendo invadere il tuo territorio.” lo rassicurò il pupo.
“E allora cosa cerchi?” chiese il cane.
“Ti sei liberato del guinzaglio e sei scappato dal padrone?” domandò lui con ammirazione.
“Se vuoi davvero saperlo, io non l’ho mai avuto un padrone.” rispose il cane. “E se l’avessi non sarei certo così scemo da scappare.”
“Ma dunque non conta niente per te la libertà?” esclamò la marionetta.
“Libertà per me significa fame e solitudine.” disse il cane con afflizione.
Il pupo lo fissò per un po’, poi continuò il suo cammino. Il cane randagio seguì collo sguardo la marionetta senza fili, finché sparì di nuovo nella notte.
Nella sabbia della spiaggia lasciava lievi impronte. Sedette sul bordo d’una barca capovolta. Alta e luminosa la luna era sospesa sulla nera distesa marina. La marionetta rimase a meditare, mirando l’immenso mare.
D’un tratto fu distratto da un rumore che s’avvicinava, sinché scorse un’imbarcazione. Un vecchio barcone a motore senza illuminazione. Arrivò a riva e riversò sulla battigia uomini, donne e bambini. Erano sporchi e spossati. Si guardarono intorno spaesati.
Un ragazzino si accorse del pupo e se lo prese. Sul suo triste viso sorse un sorriso. Il pupo lesse negli occhi adesso raggianti del ragazzino l’aspirazione a una vita migliore di quella dalla quale la sua famiglia era fuggita. Ci lesse il desiderio di libertà dalla povertà.
All’improvviso la gelida luce di alcune torce elettriche spazzò la spiaggia buia. Subito tutti cominciarono a correre come pecore sbandate. Al ragazzino clandestino cadde di mano la marionetta. Egli fece per fermarsi a raccoglierla, ma la madre lo trascinò via.
“Alt, polizia!”
Parecchi agenti bloccarono gli immigrati. I più piccoli piansero spaventati. I poliziotti portarono tutti via. In riva al mare ritornò il silenzio.
Il pupo si rimise seduto sulla barca. Provava una profonda tristezza. Si chiese se in questo mondo esistesse qualcuno che fosse davvero libero. Forse nessun essere possedeva la vera libertà. Marionette, animali e uomini avevano ognuno i propri fili, visibili e invisibili. Gli uomini erano quelli che ne avevano di più: fili elettrici, fili telefonici, fili televisivi, e anche tanti altri invisibili. Guardò il cielo pieno di belle stelle. Ma poi forse lassù…
Si sollevò e cominciò a camminare sulla riva del mare. Nel petto sentiva una tensione. Si accorse che il filo che legava il suo cuore all’ancella non s’era spezzato come credeva. Anzi, più lui s’allontanava da lei, più il filo l’attirava a lei. Era un filo elastico. Più fra loro cresceva la distanza, più lui sentiva la sua mancanza.
Si arrestò. Ma dove stava andando? Si guardò intorno: buio e silenzio. Sentì tanto pesanti la sua solitudine, la sua nudità, la sua mancanza d’identità. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Stava per precipitare in un baratro mortale, ma lo trattenne un filo provvidenziale, che gli impedì di caderci dentro. Quel filo legato al suo cuore fu per lui come una corda d’alpinista, una corda di sicurezza. Quel filo era la salvezza. Quel filo era la vita.
Si voltò e tornò indietro.
L’oscurità della notte andava già dissolvendosi nel chiarore dell’alba. Arrampicandosi agile al tubo pluviale il pupo arrivò nella finestra, entrò dentro, scese dalla catasta di casse e fu nuovamente nel magazzino. Le marionette erano ancora addormentate. Lui indossò rapido la sua armatura, l’elmo, lo scudo, la spada. Era di nuovo a casa.
“Paladino, si può sapere dove ti eri cacciato? T’ho cercato invano dappertutto.”
Il pupo sussultò. Si girò. Era il mercante d’oriente.
“Senti, ti devo parlare di un affare molto importante.” riprese il mercante.
“Ti ringrazio, ma non desidero comprare niente.”
L’aurora incominciava a illuminare l’ambiente.
“È un affare di cuore.” continuò il mercante. “Si tratta dell’ancella mulatta.”
Un raggio lambì l’armatura di latta.
“Lei e io abbiamo avuto un colloquio, in cui m’ha confidato il suo amore…”
Il sole sorse con ardore.
“…per te.”
Era nato un nuovo giorno.
“E io le ho promesso che avrei fatto tutto il possibile per aiutarla.” aggiunse il mercante d’oriente.
Un giorno splendente.
In quell’istante apparve la bella ancella. Lui l’abbracciò con slancio e la baciò. I fili delle due marionette si mischiarono. Anche gli altri pupi della compagnia comparvero, e li circondarono. Divertendosi assai assistettero allo spettacolo della coppia che, più cercava di districare i fili, e più questi si aggrovigliavano.
Alla fine applaudirono ridendo le due marionette, strettamente avvinte l’un l’altra.
E felici.